Ogni medico di Medicina Generale con 1500 assistiti ha almeno 3-4 pazienti con malattia di Parkinson (300 casi su 100 000 abitanti). La prevalenza aumenta nella popolazione dopo i 60 anni, tuttavia esistono forme di Parkinson giovanile che costituisce circa il 15% dei casi. Tanto più l’esordio della malattia è precoce tanto minore è la probabilità che si tratti di un caso sporadico. Infatti ci sono geni associati alla malattia giovanile “familiare” (per mutazioni nel gene PARKIN - Autosomal Recessive Juvenile Parkinsonism- ARJP).
Nell’ambito dell’Assistenza e delle Cure Primarie il medico di famiglia può quindi notare un quadro di sindrome parkinsioniana e seguire i criteri diagnostici come quelli descritti in “UK Parkinson’s Disease Society Brain Bank Diagnostic Criteria” suddivisi in diversi passaggi valutativi e decisionali.
Bradicinesia (lentezza nell’iniziare un movimento volontario con una progressiva riduzione della velocità e nell’ampiezza dei movimenti o esecuzione di gesti ripetitivi) in associazione ad almeno 1 trai seguenti:
- Rigidità muscolare
- Tremore a riposo (4-6 Hz)
- Instabilità posturale (escluse altre cause oftalmologiche, vestibolare, cerebellari, o neuromuscolari propriocettive)
- microinfarti cerebrali ripetuti e progressivi
- traumi cranici ripetuti (es. boxer)
- assunzione di farmaci anti-psicotici o antagonisti della dopamina
- encefaliti
- mancata progressione della malattia
- scarso miglioramento anche con dosi elevate di levodopa (escludendo il malassorbimento)
- manifestazioni cliniche unilaterali dopo 3 anni
- altri aspetti neurologici: segni cerebellari; demenza precoce e grave con disturbo del linguaggio, della memoria o prassia
- esposizione a neurotossine
- tumore cerebrale o idrocefalo alla neurodiagnostica per immagini
- esordio unilaterale
- eccellente risposta alla terapia con levodopa
- tremore a riposo
- corea severa indotta da levodopa
- progressione della malattia
- risposta clinica alla levodopa per >5 anni
- persistente asimmetria con lato di esordio maggiormente affetto
- evoluzione clinica di 10 anni
Analogamente, l’associazione tra estere metilico di levodopa e carbidopa come inibitore selettivo delle decarbossilasi di amminoacidi aromatici è usata per la terapia della malattia di Parkinson e della sindrome parkinsoniana. Con l’inibizione della decarbossilasi mediante carbidopa o benserazide la catecol-O-metiltransferasi (COMT) diviene la via metabolica principale con conversione della levodopa a 3-O-metildopa, un suo metabolita potenzialmente nocivo. L’entacapone è un inibitore specifico e reversibile della COMT ad azione periferica e per questo è usato nelle preparazioni base di levodopa rallentandone la clearence dal circolo sanguigno, aumentandone la dose disponibile e prolungandone l’effetto terapeutico. pramipexolo, ropinirolo e rotigotina sono dopaminoagonisti che alleviano i deficit motori parkinsoniani stimolando i recettori della dopamina nel corpo striato, agendo da attivatori dei recettori della dopamina. Il biperidene ha una spiccata azione anticolinergica centrale che si distingue nel suo meccanismo d’azione dagli altri farmaci antiparkinsoniani; tale proprietà farmacologica trova applicazione in clinica nel risolvere specificamente la rigidità muscolare conseguente alla disregolazione del sistema extrapiramidale. A differenza della L-Dopa, biberidene, grazie al suo antagonismo per l’acetilcolina a livello centrale esplica un azione inibitrice molto pronunciata sugli effetti collaterali di tipo extrapiramidale determinati da terapie con psicofarmaci (specialmente neurolettici). Selegilina e rasagilina sono indicate per la malattia di Parkinson e parkinsonismi sintomatici e possono essere somministrate anche contemporaneamente alla levodopa riducendone la dose necessaria del 30% oppure possono essere usate in monoterapia ritardare l’inizio di terapia con levodopa. Agiscono come inibitori degli enzimi monoamminoossidasi di tipo B (MAO-B) prevalenti nel cervello e responsabili del catabolismo della dopamina (rispetto alla MAO-A a maggior concentrazione intestinale). La terapia deve essere personalizzata per il singolo assistito in quanto la diversa espressione clinica non permette di standardizzare un schema uguale per tutti con frequenti aggiornamenti posologici. A seguito di studi epidemiologici è stata ipotizzata una correlazione inversa tra effetto neuroprotettivo di nicotina e caffeina con la malattia di Parkinson. Per demenza di definisce un declino neurocognitivo e delle capacità intellettive proprie della funzione corticale del cervello tale da interferire con le attività lavorative, psico-sociali e relazionali di una persona. Non è un entità nosologica specifica ma diverse patologie possono causare demenza. Nella demenza sia la memoria sia la capacità di ragionamento e di pensiero sono affetti in modo significativo compromettendo le attività essenziali di vita quotidiana. Un deficit isolato della memoria non significa avere la demenza. La persona con demenza si trova in difficoltà nel comunicare o trovare le parole, nel ricordare, nelle abilità spaziali (orientamento) e pertanto può financo perdersi per strada alla guida o vagabondare a piedi. In particolare la difficoltà nel ragionare impedisce la risoluzione dei problemi o lo svolgimento di compiti complessi. Si possono associare anche depressione, ansia, agitazione psico-motoria e allucinazioni. Logicamente, a seconda dell’area cerebrale prevalentemente colpita le persone manifesteranno sintomi diversi. Esempi di demenza sono la malattia di Alzheimer (tipicamente caratterizzata da atrofia dei lobi temporali), demenza da corpi di Lewy, demenza frontotemporale, demenza vascolare, la malattia di Parkinson, la malattia di Huntington, la malattia di Creutzfeldt-Jakob. La malattia di Alzheimer e la demenza vascolare sono le due principali causa di demenza sia ad esordio precoce (<65 anni) sia nell’anziano. Esistono delle forme di demenza trattabili ovvero secondarie a malattie endocrine o metaboliche, in particolare l’ipotiroidismo, il malassorbimento di cianocobalamina o vitamina B12 o il deficit di vitamina B1 spesso carente nell’alcolismo cronico, la neurosifilide, i traumi cranici con ematomi subdurali (tipicamente negli anziani a seguito di cadute), l’esposizione al piombo, pesticidi e droghe o superalcolici. La prevalenza dell’Alzheimer aumenta con l’età. Le terapie attualmente disponibili per la demenza sono palliative ed hanno tuttavia la pretesa di rallentare la progressione della malattia, in particolare si prescrivono gli inibitori della acetilcolinesterasi ovvero la memantina, donezepil, e rivastigmina. La strategia terapeutica nella pratica clinica deve confrontarsi con la necessità del controllo dei sintomi con farmaci che seppur non specifici permettono di gestire alcune espressioni invalidanti della malattia. Si ricorre pertanto all’uso di neurolettici, benzodiazepine, e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). In contrasto con le più comuni forme di demenza che si manifestano nel corso di anni, una forma di demenza rapidamente progressiva può svilupparsi in modo subacuto nel corso di mesi, settimane o perfino giorni ed essere fatale; in questi casi le cause autoimmuni, infettive, oncologiche, o tossico-metaboliche sono potenzialmente trattabili. Un esempio è la malattia da prioni. Il prione è un agente infettivo non convenzionale di natura proteica. Essendo una glicoproteina, il prione privo di materiale genetico ovvero di acidi nucleici, non è una cellula vivente come altri agenti infettivi come i batteri, funghi o perfino i virus che si integrano nelle cellule. Una proteina cellulare normale sensibile alla degradazione da parte delle proteasi nota come PrP-sens subisce un cambiamento conformazionale post traduzione e diventa PrP-res. PrP-res si replica e si accumula al posto delle normali proteine prioniche portando alla morte cellulare. Quindi la malattia da prioni rispetto alla malattia di Alzheimer ha una progressione rapida e oltre alla demenza si associano anche atassia (incoordinazione motoria) e mioclono o spasmo (contrattura muscolare involontaria). Geneticamente la malattia da prioni si caratterizza per la mutazione del gene PRNP mentre nella malattia di Alzheimer la mutazione è sul gene APP.
Un recente studio pubblicato su una rivista scientifica “The Lancet Neurology” ha evidenziato che circa il 43% della popolazione mondiale convive con una condizione neurologica: ictus, encefalopatia neonatale, emicrania cronica, demenza, neuropatia, meningite, epilessia, complicazioni neurologiche da parto pretermine, disturbo dello spettro autistico e tumori del sistema nervoso centrale. Pertanto viene ribadita l’importanza di una strategia comune a tutti i professionisti e interdisciplinare per favorire la salute del cervello, “One brain – one health”, ovvero la salute è unica come unico è il cervello da preservare”. Il decalogo per la salute del cervello racchiude elementi fondamentali per sensibilizzare la popolazione a prendersi cura del proprio cervello per il proprio bene e per il bene della società in cui si vive:
- Praticare attività fisica regolarmente (soprattutto aerobica)
- Alimentazione salutare (la dieta mediterranea, ricca di verdure, frutti di bosco, frutta secca, cereali integrali e grassi sani, supporta la funzione cognitiva). Gli acidi grassi Omega-3 e Omega-6 proteggono i neuroni
- Migliorare la qualità del sonno: dormire 7-9 ore a notte aiuta la memoria e la plasticità cerebrale, oltre che a mantenere una routine regolare
- Stimolazione mentale: l’impegno mentale sostenuto e l’apprendimento di nuove abilità rinforzano la riserva cognitiva. La lettura, lo studio di nuove lingue o di uno strumento musicale e ascoltare la musica sono attività raccomandate
- Saper gestire lo stress (evitando il burnout): se gli eventi stressogeni persistono e cronicizzano possono danneggiare l'ippocampo e influenzare il sistema immunitario. Alcune tecniche di meditazione, mindfulness, yoga e respirazione profonda aiutano a regolare le risposte allo stress
- Mantenere rapporti sociali: l’isolamento deprime la funzione cognitiva ed emotiva. Partecipare ad attività di gruppo e coltivare relazioni di amicizia è fondamentale
- Prevenzione dei traumi cranici: indossare il casco appropriato in circostanze di pericolo e attuare le strategie di prevenzione delle cadute
- Non trascurare la salute cardiovascolare, uditiva e visiva: ipertensione, diabete, obesità e colesterolo alto possono danneggiare il cervello. Alterazioni della vista e/o dell’udito hanno un impatto negativo soprattutto sugli anziani più fragili
- Non assumere sostanze tossiche: limitare l'assunzione di alcol (soprattutto di alta gradazione); evitare il fumo di sigaretta (attivo e passivo) e non assumere droghe. Smettere di fumare e ridurre l'esposizione a inquinanti ambientali.
- Curare la salute mentale: la depressione e l'ansia sono fattori di rischio per il deterioramento neurocognitivo. Cercare supporto professionale, in primis del proprio medico di Medicina Generale se necessario, e attuare le pratiche che favoriscono il benessere emotivo.
- Il morbo di Parkinson e le demenze - Percorso di potenziamento-orientamento in “Biologia con Curvatura Biomedica” - Lezione del 19 marzo 2025 a cura del Dr. Maurizio Rinaldi - Istituto di Istruzione Superiore G. Marconi (Civitavecchia)
- Nice guideline 2017 - Parkinson’s disease in adults
- GBD 2021 Nervous System Disorders Collaborators: Global, regional, and national burden of disorders affecting the nervous system, 1990–2021: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2021. Lancet Neurol 2024;23:344-381